La via perfetta by Nardi Daniele & Carati Alessandra

La via perfetta by Nardi Daniele & Carati Alessandra

autore:Nardi, Daniele & Carati, Alessandra [Nardi, Daniele & Carati, Alessandra]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Tentativo n. 4

Conosciamo noi stessi solo fin dove

siamo stati messi alla prova.

Ve lo dico

dal mio cuore sconosciuto.

WISŁAWA SZYMBORSKA1

1. La citazione è tratta dalla poesia di Wisława Szymborska Un minuto di silenzio per Ludwika Wawrzyńska, in La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), a cura di Pietro Marchesani, @Adelphi, Milano 2009, p. 59. All works by Wisława Szymborska @The Wisława Szymborska Foundation - www.szymborska.org.pl

1.

La prima cosa che ricordo è il tremore. Stringevo il volante e appena lo lasciavo ricominciavano le scosse. Mi guardavo le mani e non sembravano le mie, sfuggivano al controllo. Non mi era mai capitata una cosa del genere.

Avevo cenato da amici, a Roma, in zona San Giovanni. Quando ero già sulla Pontina, mi sono accorto di non avere addosso la giacca, l’inizio dell’inverno era stato mite quell’anno. Ho accostato per prendere il telefono.

– Ste’, so’ io. Vedi un po’ se ci sta la mia giacca lí da voi.

– Sí, sta qua.

Mi sono sentito stupido per avere dimenticato di infilarmela prima di uscire.

– Danie’, tutto a posto?

Non riuscivo a rispondere, in preda a un’angoscia crescente.

– Te la riporto quando andiamo a scalare tra un paio di settimane.

Avevo una montagna di giacche di ogni tipo, materiale tecnico accumulato negli anni di montagna e spedizioni.

– Cazzo, – dico. – Perché mi dimentico ’ste cose?

– Ma che? Te stai a preoccupa’?

Stefano è scoppiato a ridere. Ho chiuso la conversazione con dei saluti frettolosi.

Non riuscivo a ingranare la marcia, non riuscivo a pensare, non riuscivo a fermare il tremore, non riuscivo a fare niente. Una grande oppressione mi schiacciava il petto, come una mano che premeva lo sterno e la gola. Mi mancava il respiro e non era la fame d’aria che avevo conosciuto in alta quota.

Ho cominciato a piangere.

Ero azzerato, quasi stessi per disgregarmi e scomparire.

Sono rimasto in auto, fermo a bordo strada, a singhiozzare e boccheggiare.

È stata la prima volta. Ce ne sono state altre, tanto che prendere l’auto era diventato un problema. E il male non si limitava a quello, c’erano giorni in cui non ce la facevo ad alzarmi dal letto. Dentro di me si era fulminato qualcosa e non ero piú in grado di rimettermi in piedi.

Continuavo ad andare in montagna, era la mia medicina.

Avevo bisogno di ritrovare un posto che avesse le caratteristiche di una casa, accoglienza, tranquillità, protezione. Cercavo l’altezza per staccarmi da stati che non sapevo controllare e mi causavano un disagio intollerabile, dissipando ogni energia vitale.

La montagna mi concedeva l’isolamento. Lontano da relazioni difficili e situazione guaste, potevo recuperare forza psichica, riconnettermi alla capacità di comprendere per poi provare ad aggiustarmi.

Era il 2009, «la cosa» è durata cosí intensamente per un anno e si è trascinata fino al 2011. Non sapevo come chiamarla, depressione? Burn-out? Attacco di panico?

Era tutto questo e anche qualcos’altro.



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